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Gianmario Cosentino

Scienza e fiducia: riflessioni per il World Health Day


E' passato un anno da quando, più o meno inconsapevolmente, abbiamo congedato le nostre certezze, lasciandoci investire da una serie di dinamiche che hanno fatto del 2020, uno degli anni più complessi del ventunesimo secolo.

Gli eventi spesso accadono in maniera inaspettata e difficilmente si possono prevedere: l’attuale pandemia ne è la prova.

Rispetto a molti altri fenomeni pandemici dello stesso tipo, che si sono susseguiti nel corso della storia, quello attuale è caratterizzato da un tratto peculiare: per la prima volta l’uomo è riuscito a farvi fronte con tempestività inaudita. Un traguardo importante per il genere umano, che rimarca ancora più profondamente quanto la nostra salute e la nostra stessa sopravvivenza siano legate al progresso scientifico.


Sebbene il ritorno alla normalità continui ad essere molto lontano, è doveroso ricordare che nel giro di pochissimo tempo la scienza è riuscita, battendo qualsiasi aspettativa, a raggiungere obiettivi che solo pochi decenni fa sarebbero stati inconcepibili. Non dobbiamo meravigliarci di questo clamoroso successo: la scienza non è frutto della casualità ma del lavoro perseguito da migliaia di studiosi che ininterrottamente, da marzo dell’anno scorso, hanno tentato in tutti i modi di tradurre e decodificare l’accaduto, di trovare cause ed antidoti, in modo da darci risposte e mezzi per uscire da questa situazione.


Se il ruolo chiave dell’accademia scientifica rimane un punto fermo per la lotta contro il sars-cov-2, non possiamo affermare lo stesso per quanto riguarda la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti della scienza e della sua “affidabilità”.

Il rapporto tra l’opinione pubblica e la scienza è alquanto difficile da spiegare: i motivi che sono alla base di questo legame così ambiguo affondano le proprie radici nel passato e abbracciano diverse sfere come la filosofia, la religione e le fondamenta ideologiche che ognuno di noi costruisce e porta con sé.

Nel corso dell’ultimo anno, il comportamento della società nei confronti delle istituzioni scientifiche è stato abbastanza ambivalente: se nei primi mesi di pandemia la scienza è stata oggetto di “divinizzazione” subito dopo ha dovuto fare i conti con un incalzante fenomeno di negazionismo e di diffidenza generalizzata.


Naomi Oreskes, naturalista statunitense, docente di filosofia e storia della scienza presso l’Università di Harvard, nel suo ultimo libro “Perché fidarsi della scienza?” , afferma che alla base dell’incapacità del progresso scientifico di raggiungere l’intera popolazione vi sono numerosi fattori, anche se i più emblematici riguardano sicuramente le “falle comunicative” commesse durante i lunghi mesi di pandemia e l’assenza di un giornalismo scientifico qualificato e riconosciuto a livello sociale.

Secondo la concezione di Oreskes, così come quella di molti altri studiosi, lo scetticismo sociale nei confronti dell’operato della scienza deriva proprio dalla mancanza di strumenti comunicativi che siano in grado di fornire alle masse la possibilità di comprendere come la scienza si muova e soprattutto come si strutturino le regole e le tappe della sperimentazione scientifica.

Una delle principali conseguenze di tutto ciò è rappresentata dal fatto che la popolazione tende a pensare che la sperimentazione scientifica debba essere totalmente priva di margine di errore e incertezza, tralasciando il fatto che il metodo scientifico è riuscito a compiere “passi da gigante” solo attraverso la rivalutazione degli errori, l’autocorrezione e la confutazione.

Purtroppo, questa consapevolezza ha raggiunto solo un’esigua parte della popolazione, per questo la maggior parte dell’opinione pubblica interpreta la diversità di posizione degli scienziati durante questo ultimo anno come un punto di debolezza e poca affidabilità anzichè come fonte del progresso della ricerca.

I tentativi di effettuare una sana divulgazione scientifica sono inoltre stati depistati da un fenomeno tanto odierno quanto complesso: le cosiddette “fake news”.

Rispetto a molte altre forme di comunicazione, quest’ultime sfruttano come veicolo di diffusione principale i social media, raggiungendo velocemente un target più ampio e radicando delle posizioni all’interno dell’opinione pubblica molto difficili da smuovere.


L'aumento esponenziale della diffidenza sociale nei confronti della scienza non ne inibisce soltanto gli sviluppi futuri ma limita fortemente anche quelli attuali, mettendo quindi a rischio la salute di tutti.

L’esempio per eccellenza è rappresentato dalla questione della vaccinazione di massa: la fondazione Veronesi stima che il 43% degli italiani non sia d'accordo a sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid 19.

L’Internazionale riporta che secondo gli ultimi dati forniti dall’eurobarometro alla Commissione europea, circa la metà degli italiani è convinta che i vaccini possano causare gravi effetti collaterali; circa un terzo pensa che indeboliscano il sistema immunitario e che possano causare la malattia da cui dovrebbero proteggere. Soltanto il 15 per cento pensa invece che l’influenza possa causare decessi e che la stessa percentuale si registri per epatite, morbillo e tetano.

Se le persone con queste convinzioni non si sottoponessero al vaccino, l’immunità di massa non sarebbe probabilmente raggiunta e gli sforzi scientifici di questo anno, così come quelli finanziari e collettivi, andrebbero tutti persi.


Per questo oggi, in occasione del World Health Day, mi piacerebbe chiedere ai leader politici di considerare politica e scienza come due entità indipendenti, seppur sinergiche tra di loro, creando le condizioni per una divulgazione lineare e trasparente della comunicazione scientifica, in grado di mettere d'accordo le esigenze del giornalismo e il linguaggio degli scienziati, e di imporre la giusta distanza tra risultati parziali, non ancora verificati dalla comunità scientifica, e conquiste consolidate.


È inoltre dovere etico di scienziati e giornalisti farsi carico delle responsabilità che una comunicazione sbagliata indebolisca la fiducia nella scienza, rischiando di oscurare gli strabilianti risultati scientifico-sanitari ottenuti; risultati che ci stanno dando gli strumenti per superare l’emergenza e guardare con cauta speranza al futuro.

Solo grazie al progresso scientifico la nostra salute può continuare a migliorare e solo una politica che difende la scienza come disciplina indipendente e libera, può garantire che il sistema sanitario pubblico faccia passi avanti e sia accessibile per tutti.


Fonti:





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